L’educazione finanziaria? Non dovrebbe parlare di soldi

Come educatrice finanziaria il mio compito principale consiste nell’analizzare il rapporto dei miei clienti con i soldi per capire cosa non funziona e cosa migliorare.

Non si tratta di un lavoro facile, né dal punto di vista tecnico né da quello più strettamente personale. 

Il nostro rapporto con i soldi, infatti, non è mai un rapporto solamente finanziario. Anzi, è assolutamente inevitabile che il denaro in se sia carico di funzioni e significati simbolici che vanno molto oltre la sfera economica.

Il denaro è il mezzo attraverso cui raggiungiamo i nostri obiettivi nella vita, attraverso cui costruiamo la nostra identità sociale e la portiamo nel mondo.

Per certi versi, è il mezzo che ci permette di esprimere chi vogliamo essere e cosa vogliamo fare.

Solo che, molto spesso, qualcosa va storto. Incorriamo in vere e proprie trappole mentali – i nostri errori di pensiero – a prescindere dal background, dal livello di istruzione e addirittura dallo stipendio di cui disponiamo.

Altrimenti come si spiega che ci sono persone che non riescono a vivere con 5.000 euro al mese e famiglie che vanno dignitosamente – e in alcuni casi felicemente – avanti con meno della metà? Perché non si può ridurre tutto al reddito sul quale possiamo contare. È anche questione di comportamenti legati al denaro e di gestione delle emozioni ad esso collegate.

 

Perché la cattiva gestione del denaro è un problema comune?

Come accennato in precedenza, il denaro ha sempre un significato simbolico. Nella nostra vita, svolgono funzioni di cui non sempre siamo consapevoli ma che hanno un profondo effetto su di noi.

Vivere in una famiglia molto povera può renderci dei risparmiatori molto attenti. Al contrario, vivere in una famiglia molto ricca, anche con un buon stipendio, può farci sentire “poveri”.

 Se uno dei nostri genitori esaurisce i soldi, potremmo scoprire che i soldi non sono così importanti ed è normale che siano a corto di soldi quando arrivano alla fine del mese.

In pratica, le esperienze di vita legate al denaro possono determinare il nostro rapporto con il denaro.

Contrariamente a quanto si possa pensare, spesso non si tratta di chissà quali traumi, piuttosto di situazioni estremamente comuni, nelle quali molti di noi si possono riconoscere.

Ecco alcune delle più frequenti.

 

1) Mancanza di chiarezza

La semplice mancanza di chiarezza d’intenti è uno degli scenari più comuni. Non avere ben chiari i nostri bisogni e obiettivi (e la differenza tra i due) ci fa sentire insoddisfatti, inquieti. 

Questo può portarci ad adottare dei comportamenti d’acquisto compensatori, ossia spendere in cerca di gratificazione. Peccato che la gratificazione duri solo pochi istanti (secondo la scienziata Wendy Wood, infatti, una scarica di dopamina dura un minuto), per poi lasciare nuovamente spazio a quella sensazione di inquietudine e di vuoto. A cui si va a sommare l’ansia causata dai soldi spesi.

Come posso aiutarti?

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  • migliorare il tuo rapporto con il denaro

  • acquisire un approccio sano e funzionale alla gestione del denaro

  • mettere in ordine le tue finanze

  • assumere il controllo dei tuoi soldi e capire dove vanno a finire

  • ottimizzare la gestione del tuo budget

  • iniziare a risparmiare

  • smettere di sentirti inadeguato/a quando si parla di soldi

  • smettere di preoccuparti per i soldi o per il futuro

  • pianificare seriamente per il tuo futuro e quello dei tuoi cari

  • riconoscere e gestire le emozioni legate al denaro

  • imparare come prendere decisioni migliori e più informate

2) Identificare il proprio valore con il reddito

Anche questa è una trappola diffusa, ma cosa implica? Identificare il nostro valore come persone con il nostro reddito. Soffrire il confronto con gli altri, subire le pressioni per uniformarci.

Un esempio su tutti è quello della spettacolarizzazione delle vacanze. Parlo di quella tendenza a trasformare le vacanze in una questione di status symbol da esibire sui social media. In questo scenario diventa difficile ignorare il “rumore” e rimanere concentrati su ciò che vogliamo veramente, a partire da chi siamo e da quali sono i nostri valori.

Il nostro valore come persone non è in discussione e non è in alcun modo legato a quanto produciamo o quanto guadagniamo. Questa cultura del lavoro tossica è un retaggio culturale che ormai ci va stretto, e la dimostrazione è il quiet quitting, fenomeno di cui si parla molto ultimamente.

 

 

3) Il denaro come tabù

Supponiamo di provenire da una famiglia in cui non si parlava di denaro, perché parlarne era considerato considerato volgare, superfluo, in alcuni casi un vero e proprio tabù. Nonostante questo, con l’età e qualche dritta, abbiamo imparato a gestirlo discretamente nel quotidiano.

Il problema nasce quando decidiamo di avviare un’attività come freelance o libero professionista, e scopriamo che c’è ben altro oltre alla mera gestione dei flussi di cassa. Dobbiamo definire prezzi e tariffari, dobbiamo redigere preventivi e negoziare con i clienti. Insomma: siamo costretti a parlare di soldi. E se questo ci provoca disagio e non sappiamo da dove iniziare, la nostra vita professionale ne risentirà.

Questi sono solo alcuni degli errori e delle difficoltà, che ci portano a comportamenti irrazionali e incauti. Comportamenti che, anziché avvicinarci ai nostri obiettivi, ci allontanano da essi. Come spendere troppo, spendere male o indebitarsi. Oppure non pianificare per tempo per il nostro futuro.

Come esseri umani, siamo alla ricerca di due cose: la soddisfazione dei nostri bisogni e la felicità. Ecco perché l’educazione finanziaria non dovrebbe parlare di soldi, ma di comportamenti. Delle scelte che compiamo ogni giorno proprio a partire dai nostri pensieri, bisogni e obiettivi.

Gestire il denaro, quindi, non è solo una questione di numeri. Non possiamo ridurre tutto a un framework di finanza personale e all’utilizzo di un paio di strumenti, specie se ci sono dei problemi a monte.

 

È ora di imparare a prendere decisioni migliori per vivere meglio

Sto dicendo che utilizzare un file Excel o una app per registrare entrate e uscite è un ottimo punto di partenza, ma non è certo la soluzione. Perché – per quanto ci aiuti a fare chiarezza e ad avere una visione più completa – non ci aiuta né ad individuare i trigger che scatenano eventuali comportamenti disfunzionali, né a correggerli.

Sapere dove vanno a finire i nostri soldi ogni mese è un inizio, poi bisogna intervenire sulle cause che ci spingono a determinate azioni.

Perché i comportamenti si possono cambiare e si può imparare a prendere decisioni migliori per vivere meglio. Ci vogliono metodo, uno sforzo consapevole, disciplina e costanza. Perché cambiare abitudini costa tempo e fatica.

Sfatiamo il mito dei 21 giorni per l’acquisizione di nuove abitudini: la scienza, infatti, ha dimostrato che in realtà ce ne vogliono in media 66. Secondo lo studio di Philippa Lally, pubblicato sul European Journal of Social Psychology, ci può volere fino ad un massimo di 254 giorni, pari a ben otto mesi.

Per questo motivo, l’educazione finanziaria dovrebbe essere un impegno costante: a scuola, a casa, al lavoro. Perché l’apprendimento avviene attraverso la ripetizione. 

 

Giulia Fidilio
Financial Trainer | Educatrice Finanziaria AIEF| Docente corporate di Finanza Comportamentale